13.7.10

XIII (nato bene)

"Piccolo gesto a chiudere in un guscio la mia essenza, ibernazione di me stesso-interiore.
Ho il cuore in bocca e cerco le proporzioni giuste per affrontarti, adesso sono un poco consapevole della tua dichiarazione d'esistenza e spingo il mio spirito in direzioni sensoriali avanzate. Dovrò in qualche modo spegnere la ragione ed affidarmi totalmente ai miei sensi."

Eugenio lo scrive sulla sua moleskine, poi la posa sul comodino di fianco e spegne la abatjour. Sono più o meno le undici di sera e domani sarà una lunga giornata. I suoi occhi conservano ancora dei granelli di luce e nel buio della stanza essi appaiono come dei pianeti nello spazio. Eugenio pensa a quello che ha appena scritto nell'agenda e d'un tratto gli viene in mente sua madre, la sua condizione di donna nel mondo.
I granelli di luce intanto si sono raggruppati in un lungo filo e ora prendono a muoversi a spirale creando una grande conchiglia colorata. Eugenio si lascia andare a seguire quella forma e gli sembra di abbandonare la sua fisicità, è come scrollarsi di dosso la pesantezza del corpo e abbandonare la gravità. Non esistono più le palpebre degli occhi, nè le braccia e le gambe. I muscoli si sono uniti all'aria, e questa adesso è tutte le cose nella stanza, di conseguenza non esiste più una stanza ma solo un grande buio fatto di luce.


Un brusco movimento del letto lo riporta indietro, dopo poco il suono ripetitivo della sveglia gli annuncia l'ora: sono le cinque di mattina. Apre un occhio e vede il ginocchio di suo padre che dà un altro colpo al materasso, "Eugè andiamo".

Mentre si mette in piedi ha un ricordo del sogno fatto durante la notte, decide così di portarsi dietro la moleskine. Durante il viaggio proverà a far funzionare la memoria.

Dopo l'unica fermata per cornetto e caffè, i nostri si dirigono al bosco dove andranno a raccogliere gli asparagi. Adesso Eugenio è col padre in macchina e può tranquillamente mettersi a scrivere il suo sogno:
"Così tanti sogni stanotte che ho confusione a ricordarli. Vengono alla mia mente come le onde del mare, confuse e precise. Mi sembra di stare scalando una parete di roccia ma poi si cambia scena e sono nella Francia della ghigliottina e osservo (con quale occhi?) la mia testa riposta nella cesta. Ha un'espressione il mio bel viso che non avrei mai immaginato. La bocca aperta e gli occhi chiusi, la barba è folta e mi sembra di essere tranquillo oppure morto. Sarò stato ladro oppure un agitatore politico ma mi trovo in Sardegna con i miei genitori. Non ho mai visto l'isola, non ci sono mai stato, ma dicono che siamo lì e tanto basta. Siamo in casa di una famiglia che è fissata per l'ospitalità. La madre e i figli ci invitano a sedere intorno al tavolo, tutti in cerchio, e per un pò si stà così, zitti e fissandoci l'un l'altro. Il tavolo è coperto da un lenzuolo bianco avorio che cela qualcosa al di sotto. Infatti dopo poco il padre si alza e tira via il lenzuolo, con gesto deciso ma plateale, scoprendo una tavola imbandita di formaggi. I padroni di casa ci obbligano, a buon viso, ad assaggiarli uno per uno tutti quanti (una tortura). Il capo famiglia posa davanti a me un coltello ben affilato che teneva in tasca e mi consiglia di tagliarli con quello, "alla vecchia maniera" come dice lui. Affondo la lama su una mozzarella fresca e ne vedo uscire abbondante latte, ne metto un pezzo in bocca e il palato esulta, è meravigliosamente buona. Dico a mia madre che deve per forza assaggiarla e le passo il piatto. Mentre le porgo il piatto mi accorgo che al posto della mozzarella c'è un grosso fegato crudo. Ne manca un pezzo quindi capisco di aver masticato e assaporato un pò di quel fegato. Mi giro per guardare mio padre e mi ritrovo dentro una chiesa sulla navata centrale e guardo il crocifisso. Mio padre è di fianco all'altare e mi guarda con un sorriso di luce, poi allarga le braccia e mi invita al suo petto. Sento un calore immenso mentre corro verso di lui, guardo di fianco e le pareti interne della chiesa sono in fiamme. Fiamme bellissime, dense. Il profumo del legno che brucia mi stordisce e mi confonde, alzo gli occhi al crocifisso e mi accorgo che non c'è più, è vuoto. Cerco mio padre e sono a Venezia, lungo una banchina con gente che fa il bagno in quell'acqua verde e maleodorante. Ci sono anch'io nell'acqua ed è una sensazione piacevole fino a quando cerco di salire sulla banchina, ma come sporgo la testa mi accorgo di due piedi con le unghie colorate di rosso che non mi permettono la salita. Dopo un pò di prove mi arrabbio e scanso i piedi in malo modo. Appena su inizio a inveire contro la signora e dopo una lite furibonda la butto in acqua con relativa sdraio. Un'altra signora che ha assistito alla lite mi dice: -giovanotto non si buttano le signore in acque tanto belle!-"

Il sogno è una componente fondamentale per gli uomini, da lì si ricavano le giuste considerazioni sulla vita, la società, il modo di stare al mondo. Il padre di Eugenio era in una chiesa in fiamme, perché? E perché il crocifisso era vuoto? Cosa vuol dire aver masticato un pezzo di fegato crudo? Che ci faceva, in Francia, la sua testa tagliata immemore di averlo fatto? Sono domande che Eugenio si sta ponendo mentre filano con la macchina verso il bosco, pensando che un tuffo nella natura forse gli permetterà di tirare la somma fra questi sogni e il suo malessere, provato dopo aver scritto sulla moleskine la sera prima. Eugenio si sente a un passo dal capire qualcosa di importante, di se stesso e della sua vita, ma è perfettamente cosciente che questa sensazione è molto più grande di lui. Per questo deve "spegnere la ragione e affidarsi totalmente ai sensi".

"Eugè, vedi che dove stiamo andando...il bosco, la natura non ci vuole. Siamo diventati estranei noi alla natura. Abbiamo bisogno di chiedere permesso, quindi appena arriviamo dobbiamo fare pipì all'aria aperta, vicino a un albero e raccomandati di farla sulla terra non su una roccia! Noi uomini ci siamo dimenticati la bellezza che abbiamo sotto ai piedi, ci siamo messi le scarpe Eugè..." Anche da solo il padre andava per i boschi a respirare a pieni polmoni dell'aria frizzante che solo gli alberi alle sei di mattina sanno dare. Un tempo aveva la passione della fotografia, ora si accontentava della macchina fotografica del telefonino. Durante il viaggio aveva mostrato ad Eugenio una foto scattata alle montagne coperte di nuvole, il tutto sembrava assomigliare ad un mare bianco con un arcipelago di isole rappresentate dai cocuzzoli sgombre dalla nebbia. Se avesse avuto ancora la sua macchina fotografica, avrebbe di certo fatto vedere, attraverso i suoi occhi, quella bellezza di cui parlava. "La bellezza, l'armonia...l'unica strada contro una crisi" e la moleskine accettò in silenzio questa verità completa e personale.

7.7.10

VIII (effetto blur)

"Adesso" è l'arma dei fessi
geni - pionieri e acrobati
in fila ad aspettare il turno.
Ecco le Dame Signori!
Tutti alle Unioni!
Ai Maritamenti, al Martirio!

I Santi appesi al muro sotto forma di calendari dentro questo motel fissano il muro di fronte con faccia perplessa. Io sto di fronte la finestra e fisso la perplessità di questo spazio-tempo.

Questa è la Via
della non libertà
Questa è la Via
per la cattività

Poso il bicchiere che ho in mano e spengo il giradischi, Edith Piaf e quella sua cazzo di lingua! La odio ma non riesco a smettere di ascoltarla.
"Periodi brevi! Frasi corte!" mi ripeteva il mio maestro quando avevo diciannove anni. Poi ho preso a sognare e tutto si è allontanato in un giro di galassia e mezzo.
Ma il Due è la Caduta, la Polarizzazione e il Tre è il ricongiungimento, l'equilibrio ... non conosco il Tre, ho perso di vista questo numero. Come conseguenza adoro le Somme e le Guerre.

Il mio vecchio cane un giorno di luglio, una giornata in cui caldo e afa addormentavano le persone, iniziò a parlarmi della fecondità del suo seme e del fatto che non mi perdonò mai della castrazione che decisi per lui. L'indomani, era sempre un giorno di luglio con piogge rade e magnetiche, morì suicida nella vasca da bagno mordendosi l'arteria. Non sapevo che anche i cani avessero le arterie, me lo disse il veterinario durante l'autopsia. E' buffo ma quando lo vidi disteso sul tavolo depilato e squartato assomigliava così tanto ad un capretto che alla domanda "lo riconosce?" scoppiai a ridere e uscii fuori.

De Andrè diceva che "ci sarà allegria anche in agonia col vino forte. Porteran sul viso l'ombra di un sorriso tra le braccia della morte".
Seguendo Ivan ho trovato Peter Pan.

30.4.10

V (intermezzo intimo)

"Ecco la città che ricompare, colma di sfumature, piena di suono, esagerata. Decolla in alto il mio vedere, si sposta, si compatta col freddo. La stazione ha una patina addosso, sembra un sudario, un vestito bianco di lutto che la avvolge e la fa vecchia. I passi della gente vengono moltiplicati dal pavimento leggermente bagnato creando un effetto sonoro simile alla pioggia o ad un applauso."

Stacco temporale infinito ... mi perdo nel buio o forse è solo la tua tazza di tè colma delle tue lacrime. Giro intorno alla sedia e spio il tuo ragionamento
sei bellissima nel tuo vestito nuovo, mi viene voglia di stringerti e dirti che la mia lingua è un petalo di rosa per te, ma continuo a gironzolare vorticosamente fin quando cado sfinito.
Le gambe hanno ceduto alle salite, se solo potessi vedere un poco più in là ...
"le nostre vite costrette in camicie di forza, questa è la via che disegnò mio padre e prima di lui suo padre e il Padre di ogni cosa" dice un libro che ho letto e poi ho chiesto a mio padre dove si trovano e in cosa consistono i Giardini della Preesistenza ricevendo in cambio un silenzio denso, saporito, di carne. Adoro mio padre, mi piace tutto di lui, anche le cose buffe - sono particolari. Per questo se n'è innamorata - ventinove anni fa.
Arpeggi che tessono filacci di nuvole nel cielo e la musica nella testa - effetto stereo - spreme le parole, ancora e sempre loro - segni geometrici, codice fatto di linee e cerchi - PAROLE - sentite che forza? PA-RO-LE.

Sarà Devendra o forse sono le cinque di pomeriggio, ma l'Altro mi sta dicendo che sono diventato mieloso - e che ci vuole un pò di cattiveria anche quando si scrive - si può aggiungere ai pensieri un grammo di stanchezza? Beh si, penso di si. Scusa.
Niente.

Buon Tempo, realmente. Auguro al Tempo un Trapasso, rapido e clamoroso.



19.1.10

III

"Un ragazzo prende l'autobus alla fermata, sale e si guarda intorno. Ha l'aria di chi non capisce cosa fa ... d'un tratto estrae dalla tasca una pistola e la punta alla testa di un passeggero in piedi. Il signore in piedi non mostra alcuna paura, si preoccupa invece di calmare le altre persone con lo sguardo. Con la velocità di un fulmine il signore assesta dei pugni precisi al volto del ragazzo che barcolla indietro, poi con un calcio gli fa volare la pistola e se la ritrova in mano ... il signore in piedi guarda il ragazzo steso per terra con una maschera di sangue in viso ed esplode dei colpi alla testa ... tutti i passeggeri, compreso l'autista lo acclamano con un lungo applauso ..."


Se delineati bene i personaggi e l'mbientazione se ne può tirare fuori un bel racconto o un film, ma non è questo che m'interessa ... e neanche a Terzo che sta leggendo. A lui come a me interessano le persone, tutte ... la gente che vive e cammina in questo mondo, quelli che nascono accompagnati dalla mano attenta del ginecologo, quelli che muoiono adagiati sul cuscino dalla mano lieve del parente. In mezzo c'è l'umanità che cresce e rompe tutto, in mezzo ci sono io che cammino e guardo e incontro. E ora c'è Terzo che mi fa una faccia complice mentre si parla ... Mi dice che scrive anche lui, ma non ha un blog personale su cui pubblicare le sue cose, si appoggia sul blog di un ragazzo che non ha mai conosciuto di presenza ma "mi ha incuriosito ... Un giorno stavo su internet a fare un giro e mi capita questa pagina sotto gli occhi. Inizio a leggere e la curiosità di prima si trasforma in interesse e partecipazione. Contatto il ragazzo tramite e-mail e gli chiedo la possibilità di avere lo spazio per una mia rubrica di racconti, tutto questo se a lui fossero piaciuti. Chiede di poter leggere qualcosa, per conoscermi ... e dopo due settimane e un racconto mi approva l'idea della rubrica."


"Alcune emozioni restano incollate alla pelle, quasi come lo smog ... e per lavarle via non bastano le mani, molto spesso ci vuole la spugna ..."

Ho un attimo di confusione ascoltando questo ragazzo che mi parla di un blog dove ha una rubrica ... perchè mi sembra di conoscerlo? Perchè il suo nome non è una novità? E' come se io lo conoscessi ...

"Il blog si chiama 'la tana nell'esofago' e la mia rubrica è 'Dio è nel silenzio'. Il nome l'ho preso da una mia debolezza per il silenzio, perchè penso che sia costruttivo. Il silenzio quando non c'è niente da dire è salvifico, ti fa pensare e ti fa capire se è il momento giusto per agire. In questa epoca fatto di tutto e di niente si parla troppo, c'è un vociare che dice tutto e dice niente, lo so mi ripeto, ma la ripetizione è di questo tempo ... ecco perchè il silenzio è divino. Per me Dio è nel silenzio perchè non trovo un altro posto dove dare una giusta posizione ad un pensiero così pericoloso. Ah! ... è la mia fermata. Mi ha fatto piacere conoscerti ... leggiti i miei racconti io farò lo stesso con i tuoi ... ciao."

Mi lascia così, seduto in metro con uno sguardo ebete. Ed è giustificabile la mia perplessità ... lui è Terzo che ha una rubrica nel blog di un mio caro amico ... e io ho già letto e commentato i suoi racconti. Con il mio amico spesso ci siamo chiesti chi fosse questo ragazzo che mandava questi racconti e il caso, come sempre beffardo, me l'ha fatto conoscere.

"Alcune emozioni restano incollate alla pelle e nemmeno una spugna riesce ad assorbirne la potenza."

18.1.10

II

"Di du sim nu? Foggia! Foggia! Foggia!..." un gruppo di giovani abitanti della medesima città, arrivati nella capitale per il veglione di capodanno, iniziano ad urlare all'interno dell'aeroporto come per marcare il territorio, per far sapere a noi presenti da dove venivano. Superano le porte e il loro rumore scompare assieme a loro nelle vie della città.
Mi rigiro verso la macchina del ritiro bagagli e penso "chissà perchè gli uomini che caricano e scaricano gli aerei si chiamano 'lanciatori'..."
Due bimbi iniziano a giocare a rincorrersi intorno ai genitori, dopo pigliano coraggio ed esplorano il posto, li seguo con gli occhi divertito dalla loro legerezza e il loro movimento mi porta alla macchina ritiro bagagli numero due: lì c'è una signora corpulenta che, stesa sul nastro trasportatore, un poco impaurita, gira intorno con il suo bagaglio stretto nelle braccia.
Ci vogliono due lanciatori e un finanziere per toglierla da là sopra.
"Sembra di essere nel set di un film di Fellini ... mancano solo i clowns e siamo apposto ..." e un sorrisetto ai lati delle labbra mi fa una faccia buffa.
Aspettiamo i bagagli per tre quarti d'ora, poi finalmente il rullo si mette in movimento, i lanciatori lanciano il proprio dovere e io afferro il mio borsone evitando di fare la fine della signora. Fuori c'è la città, l'autobus che mi porterà alla metropolitana e di lì alla stazione Termini dove m'aspetta il treno. Destinazione la festa di capodanno.
"Sono stanco come la pioggia, come le gocce d'acqua che cadono sottili contro i lampioni delle strade ... e questo Fibonacci che martella nella testa ..." lo scrivo nel mio taccuino, comodo sul sedile dell'autobus. Accanto a me un ragazzo è incuriosito e lo appuro che sbircia nelle mie pagine.
"Ehi! Cosa c'è?"
"Niente, m'incuriosiva Fibonacci e la pioggia..." e m'allarga un sorriso.
"Io mi chiamo Terzo ..."

15.1.10

# I adagio sotterraneo

Sul decollo è meglio sorvolare, la cosa più interessante da guardare sono quelli che ti spiegano come salvarti la vita in caso di ... è meglio non pensarci. Una volta giunti ad alta quota l'aereo inizia a vibrare e ad avere scossoni ferrosi in tutta la sua forma. Siamo in balia di Zeus e dei suoi capricci. I miei occhi si chiudono e si riaprono a intermittenza regolata dai vuoti d'aria che subiamo. Qualcuno intorno a me intuisce il mio stato d'animo e cerca di farmi coraggio con parole che non riesco a sentire.
"Sono le nuvole, sono il vento, sono la pioggia..." mi ripeto in una sorta di yoga e inizio a respirare in maniera regolare. "Sono i vuoti d'aria, sono leggerezza, sono i fulmini lontani..." e la cosa inizia a funzionare! Riesco veramente a calmarmi e la cosa buffa è che la mia mente si allontana dalla fisicità del mio corpo in volo e raggiunge dimensioni lontane. Sono davvero là fuori sotto forma di nuvola e goccia di pioggia, abbandono l'aereo e divento vento che si burla della gravità, il mio cuore iniza ad avere battiti sempre più lenti, aderenti alla cadenza della respirazione. "Tutto questo è bellissimo..." aprendo gli occhi lo dico ad alta voce nel momento dell'atterraggio. La persona di fianco a me risponde "sì, altro che treno ... 50 minuti e siamo a Roma!"

# I

"Sono un tipo elegante nel sonno..." pensai mentre mi imbarcavo per il volo Trapani-Roma, tra l'altro il volo più bello da quando ho paura di volare. Unità di misura del bello, la mia, alquanto bizzarra ma considerando i principi casuali della vita aderente al kontemporaneo.
Appena incamminati verso l'aereo, per chi ha preso questo volo sa che non c'è bisogno del bus navetta, inizia a piovere, una di quelle acque da riempirti le scarpe. I lampi e i tuoni si sprecavano, aprivano il cielo a lunghi rami d'albero intrecciati. Una visione bellissima da terra, magari in una casa, al caldo e con le luci spente per godere meglio lo spettacolo. Invece, le scalette che sporgono come due lingue dal lato di quella macchina volante, mi preannunciano la passeggiata di 50 minuti ad altezza settemila metri. Sono emozionato. E l'emozione è quella di un ricordo.
"Forse noi umani siamo solo esseri marini e tutto questo altro non è che una goccia dell'universo..." pensai, per una frazione di tempo, guardando il cielo ... e in quel preciso istante scoppiò in cielo l'ultimo grande tuono.